Il terzo poliziotto

Ognuno di noi, quando “crea” ha nel suo immaginario dove pesca dei riferimenti più o meno precisi che creano il mare in cui pesca.
Libri, fumetti, film, album musicali che creano quella tavolozza in cui anche io, più o meno consciamente, vado a pescare quando mi metto davanti al foglio (elettronico) bianco e scrivo.
Così Dark Crystal e Labyrinth si mescolano a Magical Mistery Tour e Sg. Pepper, a Battlestar Galactica (il primo) e a Akira. Harlock e Capitan Futuro cadono dentro Rosencrantz e Guilkdenstern e Il terzo poliziotto si mescola con The Dark Hole e Tron.
Ma sono solo degli esempi presi a caso.
Quindi ogni tanto vi parlo di qualcuno di loro, così magari chi non lo ha letto (o visto, o ascoltato) diventa curioso e lo fa.
Oggi vi parlo de Il Terzo Poliziotto.
Intanto: come ci sono arrivato? Come molti ho subito la fascinazione della serie Lost, e come faccio sempre se qualcosa mi piace, mi documentai su quali fossero gli spunti che chi la stava scrivendo aveva seguito (appunto cosa aveva creato l’oceano in cui pescavano le idee). Leggendo venne fuori che due dei romanzi che gli sceneggiatori portavano sempre alle riunioni per decidere la trama e scrivere gli episodi erano L’ombra dello scorpione di Steven King e Il terzo poliziotto di Flann O’Brien. Quindi siccome King lo conoscevo, ho deciso di leggere O’Brien.
E ho fatto bene. Mi sono trovato di fronte a una favola surrealista piena di spunti al limite del folle, digressioni metafisiche e comunque un tizio, uno svolgimento ed una fine che hanno assolutamente senso.
Un libro che più che letto va trangugiato e più che capito va intuito, assecondato. Un libro sulla morte che resta irriverente per tutto il tempo, e per tutto il tempo tratta gli argomenti con il massimo rispetto pur ridimensionandoli. Un viaggio surreale in una fiaba la cui creazione viene plasmata mentre noi stessi leggiamo.
Uno scrittore con un senso del racconto e del surreale che non ha eguali, e che io mi sento di consigliare ma solo a chi non ha bisogno di logica e causa-effetto. Badate bene, in questo romanzo ci sono, ma sono gestite come tutto il resto del libro, in maniera surreale.
Gli do il massimo dei voti ed è oggettivamente una delle più grandi ispirazioni quando scrivo, soprattutto cerco di “rubare” la capacità di lucido delirio, senza aver paura di come e cosa raccontare, ma tenendo sempre presente l’idea generale.

RISVOLTO
«Avete mai visto una bara di bicicletta?». Lettore, questo è l’unico romanzo al mondo dove una domanda del genere può suonare perfino troppo ovvia. Come anche apparirà ovvio che un Sergente di polizia consideri gli umani compenetrati di bicicletta – un po’ come, secondo la teoria di un altro poliziotto, tutto l’universo è riducibile a una sostanza fondamentale, detta omnium. Ma come si può giungere a un tale stato di cose? Innanzitutto assistendo a un assassinio efferato. E poi accompagnando uno degli assassini in una stazione di polizia sperduta tra fradice torbiere. Qui la prosa ci avverte che siamo entrati in un luogo dove valgono, se valgono, nuove leggi della materia e dello spirito. Bianca, piatta, come dipinta su un cartellone, quella stazione di polizia sembra possedere una dimensione in meno del reale, «lasciando senza significato le rimanenti». Non solo: «tutta la mattina e tutto il mondo sembravano non avere altro scopo che quello di farle da cornice». Guardandola, l’assassino presagisce in quella casa «la più grande sorpresa che avessi incontrato, e ne ebbi paura». Giusta reazione. Ma non guasteremo al lettore quella sorpresa. Mentre gli proponiamo, come viatico, alcune righe dello scienziato e metafisico de Selby, l’uomo che portò alla massima prossimità la demenza e il genio, e che qui fa da contrappunto a ogni avventura: «Giacché l’esistenza umana è un’allucinazione che contiene in sé la secondaria allucinazione del giorno e della notte (quest’ultima un’insalubre condizione dell’atmosfera dovuta ad accumulazioni di aria nera), all’uomo di senno non si addice preoccuparsi dell’illusorio approssimarsi di quella suprema allucinazione che è conosciuta col nome di morte».