Il Tombino Maledetto. E06

I predatori del tombino maledetto
Episodio 6: Il rovescio della medaglia.
Volare nello spazio (o meglio negli spazi, minuscole intercapedini fra un piano e l’altro dell’esistenza, surfando sul tempo e tagliando la cresta dell’attimo) può essere molto stancante. Che ché se ne dica, il corpo umano può tollerare limitatamente questo genere di pressioni. Infatti Davide e Marco si erano addormentati sul sedile posteriore del taxi, sbavando e russando ed emettendo mugugni sinistri.
Si svegliarono.
Il caldo appiccicoso toglieva loro il fiato, e si avvidero parcheggiati in mezzo ad enorme, gigantesco, sconfinato niente di roccia.
Piatto. Tutto intorno a loro era piatto e senza spunto verticale: non una piantina, non un cassetto che puntasse verso l’alto.
Il niente spietatamente orizzontale.
«Ma dove siamo?» chiese Marco togliendosi una cispa dall’occhio destro.
«Ma dove sono il tassinaro e la gallina…» gli fece eco Davide stiracchiandosi.
Aprirono le portiere del taxi e scesero. Il suolo era sodo, quindi roccia e non sabbia, e ogni passo faceva uno strano suono, come un tonfo sordo seguito da rimbombi, o piccole eco.
Non c’era niente all’orizzonte. In qualunque parte guardavano non c’era niente: non un cactus, un palo, un topo, un filo d’erba. Nessuna montagna all’orizzonte. Niente turbava la disperata assenza di qualsiasi segno di una qualche esistenza. Sembravano essere le uniche tre cose Davide, Marco e il taxi, presenti sullo specchio di sasso che era il posto in cui erano.
Chissà dove erano.
«Mai vista una tale quantità di assenza tutta insieme» disse sovrappensiero Davide. Continuava a girare su se stesso, a guardare in ogni direzione, in alto verso il cielo o in basso al suolo. Cercava anche solo un cenno di qualcosa, ma non c’era nulla.
«Non credo sia normale, qualunque sia il posto in cui siamo. Non è normale che non ci sia niente così. Oltretutto se non c’è niente che fine hanno fatto il tassinaro e la gallina?» chiese Marco.
«Mah…» fu il commento che gli fece Davide.
Si misero a sedere in terra appoggiati l’uno alle spalle dell’altro.
«Accidenti a me e a quando ho deciso di buttare la spazzatura!» si maledisse Davide
«Mah, guarda, tecnicamente il problema non è stato neanche quello. Il problema è che sei voluto entrare nel tombino…»
«Vabbè, si è illuminato e ne usciva una musica: che doveva fare?»
«Girarti dall’altra parte e andartene. Di solito si fa così in un mondo civile fra gente civile: succede qualcosa di strano e tu lo ignori pensando ad altro e fingendo che non sia mai successo.»
«Già, suppongo di si.»
Ci fu un lungo momento in cui nessuno disse niente. Non c’era un rumore, era una situazione del tutto irreale.
«Fa troppo caldo qui, e in macchina si sta peggio» Guardandosi ancora una volta intorno «E non c’è un posto per ripararsi all’ombra»
Davide si alzò di scatto e cominciò a camminare in una direzione. Andava in linea retta, verso dove poco importava, tanto non avrebbe fatto alcuna differenza.
«Oh, ma dove vai?» gli urlò dietro Marco, affrettandosi ad alzarsi e a raggiungerlo.
«E che importanza ha? Vado dritto di qua, vediamo se qualcosa cambia.»
Comminarono.
Camminarono per un tempo che parve infinito senza mai incontrare niente di niente.
Finché non arrivarono al bordo.
«Ma cosa… che è, questo deserto finisce così, come fosse un trentatré giri?» chiese Marco fra l’allarmato ed il deluso. «Allora hanno ragione i terrapiattisti…»
«Non so chi ha ragione, ma qui finisce.» e così dicendo si mise dapprima in ginocchio e poi si sporse oltre l’orlo per vedere cosa c’era di la.
Davide stette in questa posizione, e cioè in ginocchio, con il sedere per aria e la testa di là dal confine estremo di quel disco, per svariati minuti.
Fece anche tutta una serie di “oh” e di “ah” e di “però” e di “ah bè” che Marco non riuscì a decifrare.
Si tirò un attimo su giusto per dire a Marco «Vieni, seguimi» tutto sorridente, e poi si sporse sempre di più e sparì oltre l’orlo.
Allo Marco si precipitò a vedere cos’era successo e guardando a sua volta sotto al disco dove stava ancora poggiando i piedi vide.
Un turbinio di gente e di case e di colori e di voci. Una città… ma che: una megalopoli sottosopra piena di ogni cosa. E Davide che lo guardava tutto contento, a testa in giù.
«Vieni, che andiamo a cercare il tassinaro!» urlò Davide.
Marco scavalcò l’argine e si trovò a testa in giù a girare per quel tripudio di colori e suoni: c’era ogni cosa laggiù, ma c’era in doppio. In triplo. Non riusciva a capacitarsi.
«Oè, allora: vieni?» lo apostrofò Davide che era tutto allegro e pimpante. Lo raggiunse ed insieme cominciarono a girare in cerca della gallina e del loro autista, che molto presumibilmente stavano lì, da qualche parte.
«Saranno qui, da qualche parte» disse appunto Davide «Non sarà facile trovarli, ma almeno qui stiamo all’ombra.»
In effetti il sole, stando dall’altra parte, su quel lato non “picchiava”, erano in ombra ma non era proprio notte, visto che dall’orlo del disco una leggera luce trapelava.
Girarono come matti per molto tempo, ma i loro amici sembravano essersi persi nel nulla
Entrarono in quello che sembrava a tutti gli effetti un bar. Ordinarono da bere due bicchieri di acqua ghiacciata, non prima di essersi assicurati che fosse gratis, perchè non avevano soldi con loro.
«Scusi, barista, ha mica visto un tassinaro e una gallina parlante?» chiese al tizio con tre occhi e un nido di fringuelli che cantavano poggiato proprio sulla testa in mezzo alle orecchie da elefante.
Quello lo guardò un po’ storto e gli indicò con uno dei sei pollici che aveva la porta che stava dietro di lui. Gli fece cenno di entrare e loro con i loro bei bicchierini di plastica colmi di acqua e ghiaccio in mano, lo seguirono.
Il barista gli aprì la porta e loro entrarono in un corridoio buio, umido e lungo.
«Com’è che a un certo punto di troviamo sempre in un posto del genere?» chiese Marco. «Ma poi te non eri diventato mago? Ma com’è che non fai più nulla di magico?»
«Non lo so, credo non mi faccia voglia, o postulato che con la magia a casa non ci torno e che comunque per ora non è che sia andata benissimo aspetto di vedere cosa succede.» Rispose Davide.
Camminarono per molto tempo, tanto che in alcuni momenti Davide si chiese se in effetti non fossero usciti dal pianeta piatto sul quale si trovavano, data la distanza che stavano coprendo e che pareva del tutto fuori dalle misure di quello che avevano cammino fino a ora.
Ciò nonostante continuarono finche non videro in lontananza una luce bluastra illuminare quella che sembrava una stanza.
Erano lontani ancora ma potevano distinguere tre voci.
Una era quella del tassinaro, era chiara e cristallina e si riconosceva lontano chilometri, e così anche quella della gallina. Non riuscivano a capire precisamente che cosa trassero dicendo le voci, ma stavano discutendo animatamente e si capivano parole come “ora”, “tardi”, “ragazzi”, “venduti”, “morte”.
Era la terza voce che assillava Davide, perchè era sicuro di avere già sentito anche quella.
Proseguirono in silenzio, in punta di piedi, finché non furono sull’ingresso della stanza.
E Davide emise un «Ma che cos…»
Nella stanza, illuminata da un televisore non sintonizzato ma acceso, il tassinaro e la gallina confabulavano con un personaggio che avevano già incontrato.
«Rinocestruzzo?” Chiese Davide.
«Rinocestruzzo?” Gli fece eco Marco.
Fine episodio 6.
