Il Tombino Maledetto. E04

di pittrotelli

I predatori del tombino maledetto 

Episodio 4: L’imperatore dell’universo.

Si risvegliarono.

Il luogo era gelido e sicuramente inorganico: plastica, o metallo. O qualcosa di analogo. Si alzarono in piedi barcollando. Il pavimento non c’era. O meglio, certo stavano poggiando i piedi su una superficie, ma non era visibile. Niente di quello che avevano intorno era cambiato: erano sempre nello spazio. Ma stavano comunque respirando, erano fermi e poggiavano i piedi su un pavimento.

Che non era.

Marco disse: «Io neanche volevo entrarci nel tombino.» Ma non si udì alcun suono. I ragazzi si guardarono esterrefatti e fecero qualche tentativo: urlando, battendo i piedi in terra o le mani fra loro, ma niente, non udivano alcun suono.

Si aprì d’improvviso una botola nello spazio. Lo so, suona strano, ma è quello che successe, fidatevi. Era come se lo spazio che li circondava in definitiva fosse una carta da parati. Una cosa simile.

Una volta aperta la botola videro scavalcare l’argine a un esserino piccolo e grigio. Aveva la testa molto grande, enorme, con occhi giganteschi e il cervello pulsante visibile a occhio nudo sotto la pelle translucida del cranio. 

Aveva una specie di antenna conficcata in fronte e che si estendeva per una trentina di centimetri, come fosse un corno da narvalo. Un alieno-unicorno.

«Prostratevi, oh inutili e disgustosi esseri. PROSTRATEVI dinnanzi al Dio dell’antimateria, il Signore del fotone, l’Ammiraglio Supremo della galassia. Faccia a terra di fronte all’Imperatore dell’universo!» poi soffiò in una trombetta di plastica tirando con la mano una manciata di coriandoli. Perepè.

La botola si riaprì ed entrò un gatto, con la calotta cranica aperta su cui era appoggiata una cupola di vetro contenente un cervello.

«Grazie, gran ciambellano. Chi sono queste due schifezze?»

«Ma chi siete voi!?» Urlò Davide.

«Guardie, a me!» disse scocciato l’Imperatore.

Arrivarono delle specie di granchi meccanici, erano una dozzina e tutti dipinti di colori diversi.

Il primo, e anche il più grosso, si avventò sui ragazzi ma quando sembrava che tutto fosse perduto Davide recitò la formula magica «Frag-Niggu-SemBlem-fiammeggiù.»

Una spada fiammeggiante apparve nella mano destra di Marco. Il ragazzo la guardò un attimo e la impugnò con ambedue le mani e cominciò a affondare fendenti a destra e a manca, distruggendo i granchi meccanici ad uno ad uno. A guardarlo si aveva più l’impressione che fosse la spada ad agire per conto proprio e Marco cercasse in qualche modo di arginarla, come si farebbe con un cane troppo irruente. La battaglia si consuma in un gran chiasso di metallo colpito e rumori di piatti rotti, con arti meccanici che volavano in tutte le direzioni senza tutto sommato opporre una grande resistenza: era come se le guardie servissero più a livello estetico e di presenza, che non per ardore guerriero vero e proprio.

Fatto sta che a un certo punto ebbe la meglio. Finiti che furono i granchi Davide si diresse verso il ciambellano e l’Imperatore.

«Riportateci a casa, schifezze astrali.» Intimò loro.

«Non si permetta mai più di rivolgersi a sua Immensità in questi termini!» piagnucolò il ciambellano.

«Fatti indietro o te ne pentirai!» – «Riportateci subito a casa oppure vi apro come due saracinesche.» Marco era al limite della sanità mentale.

«Ma io non ne ho il potere.» Rispose l’Imperatore. *

Davide e Marco si sedettero sul pavimento che non c’era, mentre tutto intorno i granchi meccanici cominciavano a ricomporsi e a rimettersi in posizione di guardia. Il ciambellano fece loro segno con la mano di non attaccare. Il Gatto-Imperatore si avvicinò ai due ragazzi «Non dovete essere tristi, il posto da cui venite è di una noia mortale, qui è sicuramente tutto molto più interessante.»

«Ma che ne sai…» gli rispose Marco.

«Il punto caro il mio Imperatore è che noi non apparteniamo a questo posto e se facciamo tardi mia madre mi ammazza.» puntualizzò Davide.

«Oh, per quello niun problema» disse il ciambellano «qui il tempo scorre ma di fatto da voi è fermo, questa scatola universale non è soggetta al fluire temporale canonico. Qui si spostano le dimensioni, non il tempo.»

«Non ho capito la seconda parte, comunque resta il problema che noi dobbiamo tornarcene a casa.» rispose Davide.

Ci fu un attimo di silenzio in cui ognuno pensava a qualcosa.

fu il ciambellano a rompere il silenzio «Mi domando se il tassinaro possa essere di aiuto.» rivolgendosi all’imperatore, che rispose «Non ci avevo pensato, potrebbe anche essere. È un personaggio curioso e pieno di risorse.»

«Si, se così si può dire. Mi rendo conto che è un rischio, ma ho paura sia anche l’unica carta che possiamo giocarci al momento.» e così dicendo tirò di nuovo fuori la trombetta e questa volta face un motivetto diverso senza lancio di coriandoli.

Perepè-Perepeppè-perippo-perepè.

Immediatamente dal nulla apparve un taxi giallo: era una Plymouth del 1948 con il suo stemma ovale sulla portiera, la striscia a scacchi bianchi e neri che correva su tutta la fiancata e il parasole. Al posto delle ruote aveva dei pattini e a trainarla c’era un’unica gallina. Turchina. Scese dal posto di guida una splendida ragazza vestita solo di un bikini rosso a pallini gialli, lunghi capelli riccioli biondi e splendidi occhi verdi. 4 occhi verdi per essere precisi, disposti su due file per lato della faccia.

«Oè, che c’è?» chiese con una voce roca e baritonale da scaricatore di spazio-porto.

«I miei saluti e i miei rispetti, signor tassinaro. Avremmo questi due baldi giovani da riportare al cospetto delle loro madri in quel del pianeta Terra, sempre che sia possibile e che rientri nella spesa mensile dell’impero galattico.»

Il tassinaro alzò le due sopracciglia di destra in un’espressione meravigliata e sembrò soppesare la situazione. Un piccolo rialzamento dell’angolo esterno della bocca tradì una mezza soddisfazione «Ochei, si può fare, ma mi firmate una sollevazione di responsabilità. Passiamo da un sacco di posti in cui si Sto arrivando! come si entra ma non come si esce, e io garantisco solo per me. E mi pagate sia che arrivino a destinazione sia che no.»

«Ma stiamo scherzando?» disse Davide.

«Accidenti a me e a quando ti ho seguito in quel tombino maledetto…» imprecò Marco.

«Perfettissimo perfettamente perfetto» Disse il ciambellano con l’aria molto soddisfatta.

E stringendo loro le mani «Arrivederci e tante care cose, mi raccomando non aprite i finestrini e date retta al tassinaro. Au revoir!» e così divendo perepè con la trombetta, si aprì la botola, uscirono metà dei granchi, l’imperatore, il ciambellano e l’altra metà delle guardie. E la botola si chiuse.

«Oè. Salite!» ordinò loro il tassinaro, e loro salirono.

Il tassinaro girò la chiave nel cruscotto, fece il rumore di accensione con la bocca – VROOOMVROOOOOOOOOOM, poi abbassò il finestrino e disse «Gallina Turchina, quando hai tempo e sei in comodo si dovrebbe andare. Tanto hai capito che giro fare.» Richiuse il finestrino, mise in moto il tassametro e si girò verso i due ragazzi seduti dietro «Tranquilli. Mettetevi le cinture che ci sarà un po’ di turbol–» uno strattone pauroso li portò in una specie di film psichedelico degli anni settanta, in cui la macchina il tassinaro e loro stessi venivano deformati continuamente in lungo ed in largo, invecchiando e ringiovanendo, cambiando razza e sesso.

Svennero. Tutti tranne la gallina che era fatta di tutta un’altra pasta.

Il primo a riprendersi fu proprio Davide. si affacciò al finestrino e quello che vide lo lasciò di sasso.

Fine episodio 4

*il racconto originale qui volgeva verso la fine, nello spazio di una decina di righe. Ho deciso però che è il caso di proseguire e vedere dove andiamo a parare.