Hotel Apocalisse E_01: La stanza numero 30

Il telefono del concierge suonava all’impazzata.
Impazzata… diciamo che suonava, ma l’idea era quella che ci fosse qualcosa di urgente. Nella hall dell’albergo che portava il sinistro quanto epico nome di “HOTEL APOCALISSE” si sentiva solo quello: non una voce, un fiato, una campanella, una stoviglia appoggiata rumorosamente. Non un animale che facesse un verso, fuori, nel parco.
Solo il centralino che squillava.
Una mano prese la cornetta e rispose:
— Centralino dell’Hotel Apocalisse, come posso servirla? Dica pure… Oh, salve, Signore… Certo, Signore… Che camera, Signore?
Una formula recitata a mente.
— Perfetto, ci penso io Signore, grazie per aver chiamato. Arrivederci, Signore.
Il portiere riappese la cornetta. Era un tipo strano: si chiamava Jinn stando al nome stampato sulla targhetta, gli avresti dato una settantina di anni ed era molto minuto e basso. Un omino cinese in uniforme da portiere.
Si diresse verso l’ascensore, seguito dal cane di piccola taglia che gli faceva compagnia. Era di razza Chin, e si chiamava Bill.
— Andiamo Bill, abbiamo del lavoro da fare.
Così dicendo entrarono nell’ascensore e salirono al terzo piano.
La porta di aprì su un discorso già cominciato:
— …non riesco a spiegarmelo! Perché cazzo devi cambiare i costumi ai supereroi in base ai film? Eh? Che ha la tutina gialla di Wolverine che non va?
Bill era veramente alterato, certe cose non riusciva a mandarle giù, neanche come quadrupede. Dal canto suo Jinn aveva la mente da un’altra parte: era già proiettato in quello che avrebbe dovuto fare di li a poco, quindi sentiva senza ascoltare.
Camminarono lungo il corridoio rivestito di legno alle pareti e moquette rossa in terra, finché non si trovarono di fronte alla porta della camera numero trenta. Jinn prese il passe-partout ed aprì la porta, spalancandola alla luce del corridoio: la stanza era completamente al buio.
— Cominciamo bene…
Fu la laconica considerazione del cane.
— Dopo di te.
Fu l’invito di Jinn.
Entrarono oltre la soglia e la stanza si illuminò all’improvviso. Di per se sarebbe stata una banale stanza d’albergo del 1950, se non fosse stato per una gran quantità di animali marini presenti: meduse che fluttuavano, pesci che volavano a mezza altezza, conchiglie e stelle marine qua e la, banchi di pesci che migravano da un mobile all’altro e una splendida porzione di barriera corallina incastonata sulla testiera del letto.
— Chi siete?
la voce proveniva da sotto il letto, appunto. Era profonda e sembrava arrivare da una qualche parte del cervello di Jinn e Bill piuttosto che dall’esterno. Bill si avvicinò per vedere meglio chi fosse l’essere che si nascondeva lì sotto.
Vide solo due occhi.
— Dove l’hai messa, cefalopode infernale del cazzo?
diciamo che la mediazione non era la specialità del cane. Era anzi più un tipetto d’azione.
— Voi non avete idea di cosa io sia… ANDATEVENE: QUESTA FACCENDA NON VI RIGUARDA!
L’essere stava alterandosi, e da sotto il letto spuntò un tentacolo che era lungo almeno tre volte l’altezza di Jinn. E parliamo della parte visibile.
— Parlato abbastanza: vediamo di concludere la trattativa.
Jinn si era rotto le scatole: aveva degli ordini, non l’avrebbe tirata per le lunghe. Prese lo scopettone dal secchio con le ruote e lo puntò verso il punto da cui provenivano voce e tentacolo. Nel compiere il movimento un lampo balenò nella stanza e la divisa da Garzone d’albergo lasciò il posto a un cappello a cono di paglia e una tunica bianca. Bill dal canto suo aveva dismesso la microstazza da cane di compagnia per un ben più imperioso assetto da guerra da Segugio Infernale, con tanto di set di aculei affilati sulla schiena, zanne e unghie.
D’improvviso il polpo afferrò per una gamba Jinn, allora il segugio infernale gli si avventò contro, mordendolo e tirandolo fuori dal suo nascondiglio. Adesso era visibile in tutta la sua sinistra presenza: una piovra con tentacoli lunghissimi, con la testa enorme ed un becco in cui sarebbe potuto entrare tranquillamente un comodino del seicento.
La piovra mollò la presa con un grido e si avventò su Bill, che continuava a mordere e ringhiare, lottando come indemoniato. Intanto gli animali marini presenti nella stanza avevano incominciato a nuotare vorticosamente tenendo come perno il punto in cui si trovava il gigantesco cefalopode. Una piccola balena alata restava in disparte, indecisa sul da farsi e comunque schiva. Nel frattempo Bill aveva staccato un tentacolo alla bestia, che urlò dolorante e si gettò di lato. Jinn, usando lo scopettone come fosse una mazza da baseball la colpì con estrema violenza lanciandola di fatto verso la scrivania presente nella stanza. La piovra impattò e restò un attimo intontita, mentre Jinn le si parava davanti brandendo lo spazzolone.
Gli animali marini vorticavano ormai a una velocità da tornado.
Indirizzò la ramazza verso il polpo, e poi pigiò un microscopico pulsante, si sprigionò una sorta di risucchio che attirò verso di se la piovra, per poi aspirarla completamente.
— Grazie per averci accordato la sua prefernza…
Jinn si diresse verso il secchio, mettendoci dentro lo scopettone
— …e vaffanculo.
Si girò verso la stanza, a guardare.
Avevano ambedue riacquisito le loro sembianze terrene.
Nella stanza tutto era tornato alla normalità: gli animali marini erano spariti, e la balena alata si era tramutata in una bellissima donna. Era spaventata ed incredula:
— Non capisco… stavo sognando… volavo… non riuscivo a svegliarmi…
— Tranquilla, donna, il succube è sconfitto: sei libera.
Jinn si rivolse verso l’esterno della stanza, mentre faceva questo un cono di luce apparve dal soffitto della stanza, e al donna cominciò a svanire in esso.
— Buon proseguimento, e per ogni cosa non esiti a chiamare il sevizio in camera.
Uscirono, chiusero la porta e tornarono dentro l’ascensore, Jinn selezionò il piano terra..
— Certo che lavoro di merda che ti sei trovato!
Gli disse Bill
— Mah, ti dico la verità: il lavoro non è male, è la compagnia che lascia a desiderare.
Rispose Jinn volgendosi a guardare il compagno che nel frattempo si era messo a leccarsi le parti intime.
L’ascensore arrivò al piano terra, si aprirono le porte, scesero e tornarono verso il bancone della hall. Il telefono già squillava e lo avevano sentito subito, appena si erano aperte le porte.
— Arrivo, arrivo!
Vociò Jinn andando a prendere il ricevitore:
— Si, Signore… certo, Signore… disinfettato, Signore…no, nessun problema Signore… cliente soddisfatto… Certo Signore, Arrivederci e grazie a lei!
Riappese la cornetta, si girò verso il mobile delle chiavi ed appese la numero trenta all’interno del suo loculo.
Tutto intorno loculi di chiave vuoti.
Si misero seduti, Jinn sulla sedia e Bill sul suo tappetino.
Squillò il telefono, e Jinn rispose:
— Centralino dell’Hotel Apocalisse, come posso servirla? Dica pure… Oh, salve, Signore… Certo, Signore… Che camera, Signore?
Fine.