U.S.S. Seirenoin

U.S.S. Seirenoin
Un racconto velocissimo di Pietro Rotelli
– U.S.S. Seirenoin qui Fregata da battaglia Ulysses. Rispondete. Passo. Signore! Nessuna risposta ancora, Signore!
– Avvicinamento a U.S.S. Seirenoin avviato. Velocità relativa di 5.6 disten, contatto approssimativamente fra 10 utp*.
Il guardiamarina Andhros stava eseguendo la manovra in maniera impeccabile, come al solito. Della sua razza di provenienza estrasolare avresti potuto dire di tutto, ma non che non fossero metodici e precisi al limite del maniacale. Il resto dell’equipaggio poi pareva ormai averlo preso sul serio, dopo una prima fase di diffidenza e sfottò, e lo seguiva con cadenza quasi meccanica in ogni ordine impartito.
La cosa riempiva d’orgoglio – e anche un po’ di ammirazione – il Comandante Gordan. Per quanto fosse preciso e autoritario lui non avrebbe mai raggiunto quel livello a cui era, apparentemente senza sforzo, il guardiamarina.
Adesso, mentre Klyng effettuava la manovra di avvicinamento, il Comandante aveva il tempo di osservare la U.S.S. Seirenoin con maggior attenzione.
[sociallocker]Era un’astronave di classe Mercury come le altre. La livrea color antracite era propria di quella classe, la cui principale attività era di rifornimento e trasporto truppe-prigionieri ed aveva quindi la necessità di confondersi col buio del cosmo e assorbire i raggi B e i riflessi delle fonti luminose che incontrava durante il servizio. Un collegamento fra la Stazione Madre e l’orlo esterno della Linea di Contenimento. In zone che erano comunque popolate da sacche ostili e flottiglie di pirati che abbordavano e depredavano qualsiasi cosa avesse un propulsore e degli stabilizzatori.
L’astronave se ne stava lì, ferma, pacifica. E silenziosa. Nonostante i segnali luminosi esterni lampeggiassero di una luce giallo-arancio (che stava ad indicare un’anomalia interna non meglio specificata) e nonostante avessero cercato di comunicare con l’equipaggio all’interno, la nave era silenziosa. Molto silenziosa: nessuno aveva risposto o stava rispondendo alle loro chiamate. E avevano usato tutte le frequenze simultaneamente – come da prassi militare in questi casi – comunicando in Morse, alfabeto obsoleto ma universale.
In effetti ora che ci pensava aveva proprio l’aria di un cetaceo spiaggiato. Immobile e morto.
Se non fosse stato per le luci di emergenza che segnalavano che qualcuno le aveva messe in azione (anche l’ultimo dei mozzi sapeva che non si potevano accendere automaticamente né da computer di bordo né da remoto, ma era necessario girare due chiavi e procedere al riconoscimento retina, e quindi era attivabile solo da un essere vivente che volesse farlo.)
– Radiotelegrafista: ancora nessuna notizia dalla Seirenoin e dal suo equipaggio?
– Signornò Signore! Sto usando tutte le frequenze in ordine Morse, ma ancora nessun contatto. Sembra quasi che abbiano spento il gruppo comunicazioni. Insisto Signore.
– Bene Signor Khunn, mi tenga aggiornato.
– Signorsì Signore!
La manovra di avvicinamento stava arrivando alla sua conclusione. Si misero a distanza di sicurezza e lanciarono i ramponi stabilizzatori. Una volta fissato l’assetto delle due navi mettendo i magneti di stazionamento in parallelo agganciarono la passerella coperta e la resero stagna e sterile. Faceva da collegamento fisico fra il portellone di scarico della Ulysses e il portellone di ingresso della Seirenoin.
Il Comandante allora, parlando col capo squadriglia preposto al primo contatto:
– Capo squadriglia Mig, siate prudenti là fuori. Dall’esterno è tutto molto calmo. Anche troppo, ma non dimenticatevi che non stiamo ricevendo risposta e che non sappiamo cosa attenderci su quella nave. .
– Signorsì Signore!
Il Comandante si diresse verso il lungo corridoio che collegava la plancia di comando con il locale di smistamento dove lo aspettava la sua squadriglia di ricognizione. Erano in sei. I migliori. Il locale di smistamento a sua volta si diramava seguendo tre corridoi. Presero il centrale che li condusse a un ascensore. Scesero di quattro livelli e arrivarono di fronte all’anticamera del locale di scarico della nave.
– Ci siamo: tute in sicurezza!
Ordinò il comandante. I soldati si chiusero maschere ed elmetti stagni, si controllarono a vicenda erogatori e purificatori. Ognuno controllò sul proprio display da braccio il funzionamento della tuta.
Si fecero il segnale di nullaosta fra loro e uno ad uno dissero proprio codice e “go”, come a dire che era tutto in ordine e che potevano proseguire.
Entrarono nel locale di scarico che si richiuse ermeticamente. Un forte getto di vapore gli segnalò che era stato sterilizzato. Si girarono verso il tunnel di collegamento con l’altra nave, aprirono il portellone che gli stava davanti e si avviarono. Caricarono le batterie dei plasmablaster.
Arrivarono davanti al portellone della U.S.S. Seirenoin, lo aprirono e entrarono: tutto pareva in ordine e intatto. Luci accese, aria respirabile.
Stacco. Esterno.
Piano totale sulle due navi affiancate e collegate dal tunnel come un cordone ombelicale o un tentacolo.
All’improvviso una bocca titanica delle dimensioni di una luna si chiude di scatto sulle due navi.
Un occhio fiammeggiante e solitario posto al centro dei un muso geometricamente improvvisato e senza senso lancia lampi scintillanti.
Si chiude.
E subito dopo si riapre.
In mezzo alla bocca invisibile nel buio dello spazio, la U.S.S. Seirenoin.
Esca in attesa della prossima preda.
Fine
*unità temporali primarie
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